La provocazione del parto

Con provocazione del parto o induzione del parto si intende la decisione del medico di interrompere la gravidanza e scatenare l’inizio del travaglio di parto, in quanto proseguire la gestazione rappresenterebbe un atto con piu’ rischi che benefici sia sul versante materno che fetale. La decisione di provocare il parto viene presa generalmente quando la gravida si trova comunque alle ultime settimane di gestazione e quindi anche il bambino ha raggiunto un sufficiente grado di sviluppo tale da permettergli di affrontare un parto per via vaginale. Ne consegue che, quando l’elemento di patologia insorge molto precocemente, la via di espletamento d’elezione è invece rappresentata dal taglio cesareo.

 

Le indicazioni piu’ importanti per cui puo’ rivelarsi necessaria una provocazione sono:

- Gravidanza oltre il termine
- Ipertensione / preeclamsia materna
- Prematura rotture delle membrane da 12 ore o piu'
- Diabete gestazionale con conseguente macrosomia fetale
- Altre patologie materne o fetali

 

Di fronte alla decisione di indurre il parto, la donna viene generalmente ricoverata in clinica di sera, così che possa avere il tempo di sistemarsi comodamente nella sua stanza e le ostetriche possano tranquillamente compilare la cartella clinica, fare gli esami ematochimici necessari e un tracciato cardiotocografico di ingresso. La provocazione effettiva verrà eseguita il mattino del giorno seguente con il medicamento deciso in base alla situazione del collo dell’utero. Eseguire un’esplorazione vaginale è, infatti, un passaggio obbligatorio. Attraverso questo esame si determina se il collo uterino è già pronto al parto, in quanto ha già subito le modificazioni necessarie (centralizzazione, accorciamento e dilatazione) nei giorni precedenti, grazie ad una attività contrattile anche molto leggera, o se invece è del tutto impreparato, quindi è un collo ancora posteriore e chiuso. Valutare questi elementi permette di scegliere l’approccio piu’ adeguato, scegliendo il medicamento migliore, la giusta posologia e quindi anche l’aggressività del trattamento. Per quanto possa sembrare improprio, parlare di “aggressività” è invece corretto nell’ottica di provocazione del parto, in quanto il dolore scatenato dalle contrazioni è generalmente piu’ intenso rispetto a quello che viene percepito in un travaglio spontaneo. Questo fatto, che pur rimane relegato alla soggettività di ogni donna e quindi alla sua soglia di sopportazione del dolore, è determinato dal fatto che la quantità di ossitocina prodotta non è compensata da una corrispondente produzione di endorfine, che normalmente permettono alla donna di avere un momento di riposo tra una contrazione e l’altra.

 

Metodi "naturali"

       - Scollamento delle membrane

       - Amnioressi o rottura spontanea delle membrane

Il primo metodo, oltre ad essere poco efficace è risentito come estremamente fastidioso a molto doloroso. In rare occasioni potrebbe rivelarsi utile. La rottura del sacco amniotico indotta, a collo favorevole, potrebbe essere il primo gesto della provocazione. In un secondo tempo potrebbe essere associato allo stimolo di contrazioni uterine con l'ossitocina per via endovenosa.

 

I medicamenti più comunemente utilizzati sono:

- Ovuli di prostaglandine E2 da mettere in vagina ogni sei ore per un massimo di 4 volte
- Compresse di prostaglandine E1o fettuccia di PGE1

- Palloncino
- Ossitocina per via endovenosa

     

I primi due metodi di induzione vengono di norma utilizzati con un collo ancora non pronto per il parto, in quanto agiscono piu’ moderatamente, anche coprendo lunghi lassi di tempo, ma permettono delle modificazioni graduali ed evitano che la donna sia costretta fin da subito ad un’attività contrattile incalzante e molto dolorosa. Subito dopo l’introduzione dell’ovulo in vagina la donna deve stare a letto per almeno un’ora/un’ora e mezza, evitando che il contenuto dell’ovulo esca all’esterno, periodo durante il quale verrà eseguito un tracciato cardiotocografico per valutare la buona responsività del feto all’induzione e monitorare l’insorgenza dell’attività contrattile. Lo stesso protocollo vale anche per le compresse orali di prostaglandine. L’efficacia del metodo è soggettiva: alcune donne inizieranno a travagliare poco dopo la prima somministrazione, mentre ad altre potrà rendersi necessario somministrare altri ovuli o compresse. Tra una dose e l’altra, compatibilmente con il proprio benessere, la donna è libera di alimentarsi e passeggiare, favorendo la comparsa delle contrazioni. Prima di procedere con la seconda somministrazione verrà ripetuta una visita ostetrica per valutare la situazione del collo e decidere se proseguire con lo stesso metodo e posologia oppure cambiare strada.

L’induzione che viene eseguita con l’uso dell’ossitocina per via endovenosa prevede invece che il collo sia già ben preparato. Affinchè il processo meccanico del parto possa avere inizio è necessario che il collo sia morbido altrimenti è come far uscire una persona di casa a porta chiusa. Tanto che non la apri un pò non si potrà mai uscire. La somministrazione di quest’ormone, potrebbe provocare degli ipertoni uterini, quindi una situazione in cui l’utero non riesce a rilassarsi e si mantiene sempre contratto, accompagnati da intense sensazioni dolorifiche. L’ossitocina è un preparato che si presenta in fiale da  5 Unità Internazionali (UI) che vengono diluite in 500 ml di soluzione fisiologica e somministrate attraverso un accesso venoso nel braccio con posologie diverse a seconda dei protocolli. Normalmente si parte dalla dose più bassa per poi aumentarla a scadenze regolari fin tanto che non si arriva ad ottenere delle contrazioni uterine efficaci (ossia che dilatano il collo e fanno progredire la presentazione cefalica nel canale da parto), monitorando nel frattempo la risposta della donna.

Se dopo un determinato tempo la dilatazione del collo non progredisce allora gli si può associare un’amnioressi, ossia la rottura artificiale delle membrane amniocoriali. Il meccanismo di azione si esplica attraverso il rilascio di prostaglandine da parte delle membrane, con successivo incremento della contrattilità uterina. Questo metodo viene utilizzato soprattutto nei casi in cui il collo dell’utero è ben preparato, ma la donna non travaglia attivamente, quindi le contrazioni non sono tali da poter apportare una progressiva dilatazione. Questo gesto si rileva sovente particolarmente efficace nella conduzione del parto.

Questa tecnica, del tutto indolore viene praticata dall'ostetrica in accordo con il medico responsabile del parto, dopo essersi accertato che all’interno del sacco amniotico, in corrispondenza dell’area di rottura, non scorrano vasi sanguigni, detti vasi previ, e non ci sia il cordone ombelicale. Tuttavia, per quanto drammatico possa essere la rottura di un vaso previa è il più delle volte imprevisibile. L'evento è per fortuna rarissimo. Dopo aver creato la rottura, le dita dell’operatore vengono lasciate in vagina per qualche secondo, in modo da fare scorrere lentamente il liquido e permettere alla testa del bambino di adattarsi in maniera graduale.

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