È il momento del bilancio finale sulla fertilità maschile

Alla fine delle indagini, l’urologo, dovrebbe essere in grado di chiarire le idee sia per quanto riguarda la diagnosi, sia per quanto concerne la possibilità di trattamento. Si dovrebbe poter dire: non c’è bisogno di una terapia, non è possibile una terapia, si può usare una terapia specifica, si può usare una terapia generica. Si potrà rispondere al quesito: in quale misura esiste un disturbo nella formazione degli spermatozoi e, se questo è il caso, di che genere si tratta? Sulla base dei risultati di queste analisi si può in molti casi proporre una terapia che possa migliorare la qualità della spermatogenesi, ma non ristabilire la normalità in caso di severa alterazione dello spermiogramma. Mi preme però sin d’ora sottolineare che, così come non è auspicabile che il ginecologo faccia prendere una scorciatoia alle pazienti con problemi d'infertilità indirizzandole verso una fecondazione assistita (a meno che non si tratti di un desiderio espresso della coppia stessa), senza aver fatto una diagnosi, né tentato una terapia, altrettanto sconsigliato che l’andrologo, impegni il suo paziente in trattamenti lunghissimi senza grandi risultati alla fine della terapia. Di fatto, nell’attesa di risultati che non arrivano, è la sua partner che vede diminuire il potenziale fertile (l'età biologica dell'ovaio conta) e la probabilità di successo al momento in cui deciderà a sottoporsi ad una fecondazione assistita. Insomma andrologo e ginecologo si occupano della fertilità della coppia e debbono operare affinché la coppia possa vedere realizzato il suo sogno senza dover passare attraverso i due estremi. Quindi né la fecondazione in vitro subito, né la lunga attesa sono una soluzione e come sempre l'equilibrio sta tra questi due estremi . Sappiamo che ogni coppia è singola e può situârsi tra quesi due estremi.

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